Trentino, 1914. Una famiglia di contadini vive in terra austriaca, nei pressi del confine italiano. L’inizio del conflitto mondiale la costringe alla separazione: il padre è reclutato nell’esercito dell’impero ed è inviato sul fronte orientale, la madre ed il figlio di sei anni saranno internati nel campo profughi di Braunau, quando l’Italia dichiarerà guerra all’Austria. Lontani per lunghi anni, non conoscono la sorte l’uno dell’altra. La storia di un uomo, di una donna, del piccolo Giuseppe che si fa grande, le loro lotte, le loro speranze sono raccontate in una vicenda, nella quale la sopravvivenza è legata anche alla trasformazione delle anime.
Welsch-Tirol (Tirolo Italiano) fu il nome dato al Trentino, ai tempi dell’Impero asburgico, per indicare la zona in cui si parlava la lingua italiana. Fu coniato da Giulio Cesare che chiamava Volcae una tribù della Gallia. Nel tempo, Welschen indicò le popolazioni francesi e italiane, che parlavano lingue neolatine, per distinguerle dai Germani, la cui lingua derivava dal ceppo tedesco.
Genre: FICTION / GeneralLe baracche di Braunau erano scure macchie di eternità. Basse, col tetto appena spiovente, assi piatte di legno, larghe e pesanti. Piallate grossolanamente, facevano emergere schegge che ferivano la pelle e pungevano i pensieri. Erano accostate alla grossa, con qualche fessura. Lungo le pareti si potevano trovare buchi dai quali spiare se non erano troppo alti. Dall’esterno si vedeva poco o niente: un’oscurità da dimenticare, ma da dentro scorgevi il fuori grigio dello scorrere del tempo, da un angolo all’altro del campo di visuale, lo spiffero freddo che ti colpiva la pupilla e il cuore.
Lui non aveva mai visto case così lunghe. Assomigliavano alla segheria veneziana dei Mein col ruscello che passava di lato e i pini tutto intorno, oppure alla malga Cornetto, dove la stalla era una costruzione bassa con finestrelle allineate, ma era un’unica baracca. Qui le case erano ancora più lunghe, una in fila all’altra, in un ordine perfetto tutto tedesco; coprivano un’enorme spianata, si aprivano su corridoi diritti di strade fangose, che facevano il paesaggio pieno di nulla, vuoto e uguale. Si poteva perdersi e non volere più ritrovarsi. A San Sebastiano le spianate non esistevano. E se c’erano, erano piccole e piene di dossi, sempre in pendio, ricche di erba di un verde sfolgorante, dove il vento correva e che la pioggia faceva crescere e brillare. Quando era alta nessuno la doveva calpestare. Questo lui l’aveva imparato presto. L’erba piegata non si poteva tagliare con la lama, era inutilizzabile. Se era stata strappata diventava gialla e secca. Quella buona serviva per far mangiare le mucche o le capre.
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English
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Already translated.
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Translation in progress.
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