Giancarlo Turchetto, Sottotenente in Grecia, dopo l’8 settembre 1943 viene catturato dai tedeschi a Volos e deportato attraverso un lungo viaggio a Beniaminowo, da dove poi sarà trasferito a Sandbostel e infine a Wietzendorf.
La storia del protagonista è una delle tante vicende che coinvolsero oltre 600mila militari italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre del ‘43. È la storia di una Resistenza senz’armi, di un militare che ha scelto di restare nel Lager piuttosto che collaborare con Hitler e Mussolini. Turchetto racconta ogni giorno la sua prigionia: sono pagine preziose, descrizioni vivide, emozioni scritte sulla carta alla luce fioca di una candela. E sono tutte rivolte alla moglie Mariuccia – chiamata affettuosamente Uccia – ai figli e alla mamma Camilla, che a casa hanno atteso a lungo il suo ritorno.
La scrittura ha il carattere vivo di un romanzo, ma romanzo non è. Le condizioni di vita sono misere, si soffre il freddo, la fame, e il pensiero della morte accompagna costantemente il protagonista. È’ una condizione che di umano non ha più nulla, ma Giancarlo sopravviverà e riuscirà a tornare grazie all’amore per la sua famiglia, che gli darà la forza di resistere alla degradazione del Lager. Il testo è corredato da un agile apparato storiografico e contiene documenti e fotografie.
Genre: HISTORY / GeneralLa coscienza dell’uomo contemporaneo vive oggi con disagio ogni violazione dei diritti umani: il periodo del rifiuto dell’orrore è passato, si è creata la distanza ed è tempo di far emergere con più forza le voci degli Internati. Tutto questo ci costringe a guardare dentro a questa tragedia e ci spinge a diventare militanti della memoria, testimoni attivi.
Ho conosciuto Barbara Conte qualche anno fa e abbiamo scambiato qualche chiacchiera davanti a un caffè in piazza a Casier… non so come, ma il discorso è finito sulle passioni che ognuna di noi aveva e ha ancora, tra cui la storia delle nostre famiglie. Qualche giorno dopo Barbara è passata da me e mi ha portato un tomo rilegato in pelle blu dicendomi: «Questo lo ha scritto mio nonno in prigionia, se hai tempo leggilo e dimmi se può essere interessante».
Da quel momento il diario del nonno mi ha accompagnato per qualche anno, assieme alle numerosissime lettere ai familiari e ai documenti che piano piano abbiamo raccolto con meticolosa attenzione grazie alla disponibilità degli altri parenti. Per le mie ricerche sull’Internamento – avviate ormai da anni - mi rifaccio a Giorgio Rochat[1], che diede avvio al dibattito sull’importanza dell’uso di diari e memoriali per ricostruire da un punto di vista storico la vicenda. Questo grande studioso insiste sull’importanza di problematizzare i dati statistici relativi al numero degli Internati per spiegare le ragioni della “Resistenza senz’armi”. Questo, secondo Rochat, avrebbe dovuto costituire l’inizio di una riflessione storica.
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Translated by Lia Garcia
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