Il libro affronta le vicende dei soldati italiani deportati dopo l’8 settembre 1943 nei Lager del Terzo Reich attraverso un’opera nata e rappresentata all’interno di un campo per Internati Militari Italiani: “La favola di Natale” di Giovannino Guareschi, uno dei più famosi scrittori italiani, conosciuto in tutto il mondo soprattutto per Don Camillo e Peppone.
L’originalità del volume sta nella metodologia di lavoro e nella sua trasformazione al momento dell’emergenza per il Covid–19. Gli alunni delle classi 2G e 2H dell’IC4 Stefanini di Treviso, dove la Pascale è docente, hanno voluto fortemente diventare protagonisti e arricchire questa ricerca con la Didattica a Distanza.
Così lo descrive Orlando Materassi Presidente Nazionale ANEI (Associazione Nazionale ex Internati nei Lager Nazisti):
“È un testo costruito a “cento mani”, un contributo importantissimo affinché i ragazzi e le ragazze nati nel terzo millennio abbiano la conoscenza e la consapevolezza di costruire il loro futuro facendo tesoro di cosa sia la mancanza di libertà, di democrazia e di pace.”
Sorpreso e soddisfatto di questa grande prova anche il figlio di Giovannino Guareschi, Alberto:
“È confortante sapere che questa favola, le cui muse ispiratrici furono ‘fame, freddo e nostalgia’, nata per consolare gli internati militari nei Lager tedeschi lontani dai loro cari, sia riuscita a coinvolgere emotivamente anche questa nuovissima generazione”.
Il libro ha ricevuto il placet non solo dal figlio di Guareschi, ma anche da parte della ministra dell’Istruzione On. Lucia Azzolina, che lo ha indicato come modello:
“Sono queste le azioni didattiche che fanno della nostra scuola una vera comunità”.
Genre: HISTORY / GeneralEra la fine di ottobre del 1943 quando conobbi per la prima volta, in una stube del IV blocco della North-Kasermen di Czestochowa, il tenente Giovanni Guareschi. Una giornata grigia, quasi tetra; al di là dei vetri si scorgeva, nella caligine, il campanile del Santuario della Madonna Nera; giungevano, filtrando attraverso una porta inchiodata, il canto di una soldatessa russa e le risa intervallate delle sue tre compagne cui la guarnigione tedesca concedeva un trattamento di particolare favore, contrariamente a quello riservato ad uno sparuto gruppo di larve umane – già commissari del popolo dello stesso esercito – ospitati nelle umide cantine della caserma.
Erano passati quasi due mesi dal giorno dell’internamento; una cupa nostalgia e una lenta disperazione si erano impadroniti di tutti a causa della mancanza di posta e di notizie dall’esterno; la fame s’era impadronita ormai di quasi tutti i nostri riflessi e le continue sollecitazioni fatte da emissari della RSI e da ufficiali tedeschi perché aderissimo al nuovo Stato, rinnegando il giuramento al Re, per combattere “su tutti i fronti” per la causa del Terzo Reich, divenivano ogni giorno di più motivo di recriminazioni, odi, litigi e speranze. Per scuotere questo stato d’animo e quella cupa atmosfera di disperata rassegnazione, Giovanni Guareschi cominciò per cristiana generosità, a visitare le varie stube dei blocchi leggendo pezzi del suo diario, impressioni, osservazioni, favolette. Quel giorno, nella stube che ci ospitava, Guareschi lesse l’abbozzo della favola di Natale. Divenne poi una cosa diversa nella sua redazione definitiva e, per chi non sia afflitto da qualifiche di intellettualismo, una “pièce” grondante, sotto il sorriso e la satira, di un’umanità piena e dolente rispecchiante lo stato d’animo di allora.