Alfredo Zaros è una stella nella galassia degli Internati Militari Italiani.
Militare del 55° Reggimento “Marche”, partito da Treviso per la Croazia, dopo l’8 settembre 1943 cominciò l’odissea della deportazione, un destino comune a più di 650.000 militari italiani che in quel momento erano dislocati al fronte.
Una Resistenza diversa, che aspetta ancora di essere conosciuta e insegnata e non deve più essere una storia marginale, ma deve essere trasmessa come una battaglia per l’identità e la libertà. Alfredo pagò il suo “no” con la deportazione nel Terzo Reich e circa venti mesi di prigionia e lavoro coatto nei Lager nazisti, con la qualifica di Internato Militare Italiano, voluta da Hitler per non riconoscere le garanzie della Convenzione di Ginevra.
É una vicenda individuale che ripropone in maniera drammatica la scelta difficile e sofferta degli IMI: la loro fu una scelta di Resistenza non armata, uno dei molteplici aspetti di opposizione al nazifascismo che non ha avuto adeguata valorizzazione.
Nonostante abbia coinvolto un numero altissimo di famiglie italiane, è rimasta confinata per lo più nelle memorie personali.
Genre: HISTORY / Europe / ItalyIl volume tratta un argomento delicato come la deportazione nei campi di concentramento dei militari italiani durante la seconda guerra mondiale. E' una testimonianza storica importante, le vendite sono di nicchia, soprattutto storici, scuole e biblioteche. Pubblicato a fine 2017 non ci sono ancora dati di vendita consolidati.
Il viaggio verso la deportazione avviene in treno su vagoni per animali attraverso l’Ungheria e l’Austria fino ad arrivare in Germania. La tortura del viaggio nel carro bestiame piombato, stipato di uomini oltre la reale capienza, è una costante di tutti i racconti degli IMI. Il viaggio procedeva lento, con interminabili soste forse dovute alle difficoltà contingenti della zona di guerra per procedere in modo spedito. Le soste duravano a volte molte ore, ma i prigionieri potevano scendere dal treno per le necessità fisiologiche solo una volta al giorno (nei casi più fortunati), ma questo non sempre. Un ufficiale superiore racconta che nei ventidue giorni di viaggio da Belgrado a Dorstar (Ruhr, in Germania), alle necessità fisiologiche personali era riservato un cassone di legno posto al centro di ogni carro. Il vagone, inoltre, era chiuso all’esterno e non veniva aperto tutti i giorni, soltanto per la distribuzione di magre razioni di viveri e di acqua. Soprattutto tale carenza e l’incognita della destinazione viene descritta nel diario. Durante il viaggio, in occasione delle soste, il comandante tedesco cercava di raccogliere adesioni da parte dei militari per il passaggio al Terzo Reich.
Questi viaggi nel gergo militare tedesco erano chiamati “Transport” e avevano come ultima meta la Germania o la Polonia. La direzione Polonia o Germania, inizialmente, dipendeva dal fatto di essere ufficiali o di appartenere alla truppa. Infatti, nei primi mesi della deportazione gli ufficiali vennero internati in Polonia, mentre i sottufficiali e i soldati in Germania per utilizzarli subito come manodopera. C’era inoltre il chiaro intento di separare, come scrive nel diario anche Zaros, i soldati dai propri comandanti, soprattutto in presenza di figure carismatiche.
Language | Status |
---|---|
Spanish
|
Already translated.
Translated by René Eduardo Galindo Almendariz
|
|
Author review: Qualità, velocità e precisione, pienamente soddisfatti per la traduzione. |