Jack è un ribelle, non tollera che qualcuno lo obblighi a soffrire rinchiuso in ufficio dalle otto alle diciotto cinque giorni a settimana, quella non è vita, è una prigione legalizzata... ma è anche bravo in quello che fa, le aziende lo corteggiano e il bisogno di soldi lo porta spesso a dover scendere a compromessi con i suoi desideri, anche se a ogni nuovo impiego la voglia di scappare cresce sempre di più fino a diventare insostenibile.
Questa volta però sembra diverso: un nuovo lavoro, un capo gentile, colleghi simpatici, una receptionist bella da mozzare il fiato...
Sembra tutto perfetto e per la prima volta Jack si sente appagato, arriva perfino ad amare quello che fa, a sentirsi parte di quel gran meccanismo che ha sempre combattuto con tutte le sue forze.
Ma il mondo del lavoro è una guerra, e il marcio si nasconde proprio dove tutto sembra essere più luccicante...
Ma non è solo una questione di soldi, Jack dovrà lottare per la sua vita, oltre che per ottenere il giusto Trattamento di Fine Rapporto.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, pensai, perché devo sentirmi così per uno stupido lavoro?
«No, cazzo!» gridai, sbattendo sul bancone il boccale da una pinta che avevo in mano, poi, più a bassa voce: «mi viene da vomitare.»
«Ti faccio vomitare io a forza di pugni sullo stomaco se non te ne stai calmo» intimò il barista guardandomi in un modo che secondo lui doveva essere molto cattivo.
«Ehi, capo, mi sembra che quello che deve darsi una calmata sei tu» risposi, sfoderando il mio sorriso cattura femmine brevettato. Già, femmine, non baristi, l’errore stava tutto lì.
Mi prese per la collottola e mi spinse fuori, non prima di sfilarmi il portafoglio dalla tasca e prendersi i soldi per il conto, insieme a una generosa mancia.
«Sei come loro» gridai da terra, «vuoi fare l’alternativo con tutti quei tatuaggi ma hai un’uniforme marchiata sulla pelle!» il barista si voltò un’ultima volta prima di rientrare.
«Servo del palazzo!» gli gridai, lui fece un gesto con le mani e mi lasciò là fuori, col culo sull’asfalto mentre giovani imprenditori tirati a lucido mi giravano attorno per entrare nel locale.
«Ehi, voi, cos’avete da guardare?» sbraitai, «siete come lui, pecore governate da pecore!»
Uno di loro, un damerino in completo total black al comando di un branco di cloni e accompagnatrici plastificate, mi squadrò con una smorfia di disgusto dipinta in faccia e disse: «beee» suscitando un coro di risate attorno a lui. Alzai il dito medio ma ormai il gregge era entrato nel suo ovile patinato.
Language | Status |
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