Ritorno Alla Mary Celeste by Daniele Picciuti

"Ancora una volta Daniele Picciuti si conferma un ottimo narratore mettendo in fila dei piccoli gioielli narrativi. Se vi piace l’horror da gustare in piccole dosi non abbiate indugi, salite e a bordo e levate l’ancora, il mistero è garantito."

Ritorno alla mary celeste

«Iniziava a pensare che la Mary Celeste non li avesse accolti per regala­re loro una grande possibilità. Ora, tutto ciò che riusciva a immagina­re era che li avesse scelti al solo scopo di divorarli.»

Nel dicembre del 1872 la Mary Celeste fu avvistata al largo delle isole Azzorre che veleggiava senza nessuno a bordo. I marinai che la incro­ciarono riferirono l’assenza degli strumenti di navigazione e dell’unica scialuppa.

L’equipaggio era scomparso. Nessuno fu mai più ritrovato.

Oggi, estate del 2013.

Voci riferiscono di un avvistamento del brigantino fantasma, in quelle stesse oscure acque.

Carlo Stein, noto avventuriero e showman televisivo meglio noto come “il cacciatore di misteri”, è sulle sue tracce, deciso a riprendere dal vivo quello che sarà il servizio più eclatante di tutta la sua carriera.

Ma è una ricerca che non avrebbe mai dovuto intraprendere.

«Abile descrittore di scaglie perturbanti che emergono dalle sinapsi, Picciuti cala i suoi personaggi in una perfetta e goticissima ambienta­zione nostrana, a suo agio tra i suoi anfratti come un demone nell’a­bisso.» Barbara Baraldi

«La caratteristica che più colpisce nella narrazione di Daniele Picciuti è il riuscito mix tra uno stile accattivante e maturo e il racconto dal sapore locale di tradizione nostrana.» Horror Magazine

«Daniele Picciuti è davvero molto abile a tracciare in poche pagine delle storie che potrebbero essere spunti per la costruzione di un inte­ro romanzo.» Truefantasy

«I racconti di Daniele vibrano di familiarità.» Danilo Arona

Genre: FICTION / Horror

Language: Italian

Keywords:

Word Count: 42000

Sample text:

PROLOGO

 

Lama che trancia una corda. Dita grosse, scure e nodose s’insi­nuano all’interno della rete, tra i pesci morti, e indagano, fru­gano, scavano. Il pescatore mi dà i brividi. Fronte bassa, occhi infossati dentro orbite scolpite in una pelle ruvida come cortec­cia, folti baffi neri all’interno dei quali la bocca scompare.

Tremo dal freddo e mi stringo nel cappotto. Ma forse non è soltanto la bassa temperatura. Raffiche di vento spazzano il ponte del peschereccio sotto un cielo che si è fatto puro piom­bo. Se pio­vesse ora, sarebbe come se Dio ci vomitasse addosso.

«Hé, viens ici!», bercia il pescatore. Non è una richiesta, ma un ordine.

Lentamente mi avvicino. L’uomo non mi guarda, ma conti­nua a farmi cenno di avanzare.

Una mareggiata scuote lo scafo e per poco non precipito in ac­qua. In un precario equilibrio mi chino accanto alla rete, seguen­do i movimenti delle sue mani nude che si fanno largo in mezzo al pesce intrappolato.

«Ici.» La voce è arrochita dal fumo e dal rum. «Regarde.»

Continuo a fissarlo per non abbassare gli occhi.

«Regarde!»

Muto, obbedisco. Osservo.

Di fronte a me, tra le pupille sbarrate dei merluzzi e il tanfo che mi annoda lo stomaco, due occhi lividi dentro una testa grigia mi fissano atterriti. Intorno alla nuca un nugolo di ca­pelli scuri circon­da quel volto glabro e molle che stento a rico­noscere.

«C’est ton père», mormora, guardandomi, aspettando che an­che io lo dica.

«Sì», lo accontento, coprendomi naso e bocca per soffocare un conato. «È papà.»


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