Sono passati vent'anni dagli eventi che hanno segnato la capitolazione di Cambria e la fuga delle Madri Nere di Alira. Dunwich e Gwern hanno scelto strade diverse, che però sono destinate a intrecciarsi nuovamente quando, dal passato più remoto, si affaccia un futuro che nessuno si sarebbe mai aspettato.
Il Libro Quarto rappresenta la conclusione - sconcertante, imprevedibile - della saga di Mordraud.
La chiatta scivolava lungo il fiume nelle tenebre di una notte senza luna. Al vago chiarore delle stelle, i canneti che corollavano le coste parevano rostri di lance scosse dai fremiti del vento. Ragno era a prua, braccia molli sul corrimano d’ottone e pipa stretta fra i denti. Immerso nelle sue congetture, continuava a tirare sebbene il braciere si fosse spento da un pezzo. Si stava chiedendo quanti giorni mancassero all’arrivo ad Hannrinn. Cinque? Sette? Non ne era sicuro. Sperava fossero il meno possibile. Quelle erano terre di conflitto, pensò sputacchiando un frammento di tabacco. Eld e Cambria combattevano per accaparrarsi i passaggi sull’Hann dacché lui ne aveva memoria, sin dall’inizio di quella guerra apparentemente infinita.
“Dopo di questa mi ritiro.”
Aveva accettato di organizzare la spedizione perché la paga proposta era davvero troppo allettante. Venti corone d’oro sull’unghia per trovare la nave e l’equipaggio, una ricchezza vera e garantita da un noto banchiere di Calhann, la sua città. Impossibile rifiutare. Ogni volta che rifletteva sulla paga, a Ragno veniva l’acquolina in bocca. Succhiò il becco della pipa per liberarlo dalla saliva e picchiettò il braciere sul corrimano per svuotarlo. Chissà cosa avrebbe potuto fare con venti corone, si chiese. Poteva aprire una bottega, oppure una locanda. Uno di quei posti dove i portuali di Calhann amavano incontrarsi per giocare alla Torre, bere fino a scoppiare e picchiarsi in tutta tranquillità, con il camino acceso e il profumo di stufato misto alle nebbie dolci della Serpe Purpurea. Fantasticò dipingendo la foggia del bancone al centro della sala quadrata, le tazze di legno appese ai ganci, il fruscio delle tessere della Torre che consumavano i tavolacci di pino.
Bellissimo.