Il potere del Ritornato, Paolo Foresta, diventa sempre più ingombrante e ingestibile.
Nei due piani esistenziali la sua fama si sta espandendo e sempre più persone, sia vive che morte, lo contattano per avere un tramite con i propri cari.
In un susseguirsi di colpi di scena, il protagonista cercherà in ogni modo di risolvere il problema, anche ricorrendo a soluzioni estreme.
Riuscirà nel suo intento o ne verrà annientato?
Sto costruendo un castello. Un mattone alla volta. Sembra la metafora di una vita. Una base robusta, solida, bella larga, su cui erigere bastioni, mura indistruttibili e torri che svettano a sfidare il cielo, a cercare risposte mai avute.
Ecco, anche in una sfida così semplice, come aiutare Francesco coi Lego, ci vedo qualcosa di filosofico. Non mi libererò mai di quella parte del mio essere. Lui, invece, è tutto concentrato a pianificare al meglio: mette un mattoncino lì, lo squadra, lo soppesa e rimane a fissarlo finché non annuisce, soddisfatto, e passa al prossimo.
Io mi limito a metterne uno sopra l'altro, cercando di mantenere la coerenza del progetto da lui concepito. Al momento sto andando bene, ancora non mi ha redarguito.
Arianna è in cucina, a preparare la cena. Sento giungere rumori di padelle e piatti, profumo di cipolla, pomodoro e spezie. Canticchia una canzone di Umberto Tozzi degli anni Settanta.
Quando la presenza appare, mi irrigidisco. Dovrei esserci abituato ormai, invece il battito accelera e una morsa allo stomaco.
È un uomo, sulla quarantina. Indossa una camicia blu aperta sul petto. Pantaloni rossi, un contrasto di colori poco azzeccato, che intuisco perché le particelle che lo compongono vorticano incessantemente facendolo sfarfallare. Ha una zazzera di capelli neri, è scalzo, e, se fosse ancora in questa parte di realtà, lo si potrebbe scambiare per un pazzo fuggito da un manicomio.
