Questo saggio indaga con una prospettiva del tutto nuova un tema che da sempre appassiona e divide generazioni di pensatori e studiosi. È di grande attualità per tutti, proprio mentre è in corso la riscrittura dei rapporti fra le nuove e le vecchie generazioni.
Ne emerge rivisitata la funzione dell’edu-care e dell’educazione, pensata non più come un’azione unidirezionale che procede dagli adulti ai minori e neanche come un’ovvia interazione fra i due attori del processo educativo.
La cifra, l’intuizione da cui l’autrice muove, è una inconsueta “etimologia” di educare, nella quale la centralità dell’azione diviene il “to care”, il prendersi cura, l’un l’altro in un rinnovato tacito patto fra generazioni.
Loredana De Vita, scrittrice, sceneggiatrice e regista teatrale, insegna inglese in un liceo di Napoli. Tra le sue pubblicazioni, per i tipi di Armando editore, Giochiamo che ero… Conversazione con chi ama la scuola (2009), Genitori senza controllo (2010), Altro non siamo che voce (2011) e per Nulla Die, Donna a metà (2014) e Oltre lo specchio (2014).
Genre: POLITICAL SCIENCE / GeneralOggi troppo spesso si fa nozionismo puro, soprattutto nella definizione di una relazione tra i giovani e gli adulti.
In realtà, dare una definizione di qualsiasi relazione è impossibile, oltre che errato, perché nessuna relazione può essere definita a priori; la relazione tra giovani e adulti ancora meno poiché è una
relazione che muta ed evolve naturalmente rispetto e insieme alla crescita biologica e psicologica degli uni e degli altri. Per tale impossibilità, io ritengo necessario rivisitare in chiave più unitaria le diverse posizioni culturali e obsolete che limitano la relazione generazionale a uno scontro continuo e feroce tra opposti che non si attraggono né si sostengono. Anche considerando il reale gap generazionale che delimita i confini epocali tra le generazioni, non penso sia proficuo ed efficace sostenere stereotipi generazionali che tentano di chiudere in pregiudizi la possibilità di una relazione tra le parti o che la escludono completamente ritenendo gli adulti come quelli che “insegnano” e i giovani come coloro che “imparano”. Questa definizione è fuori tempo, limitata e limitante.
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La conseguenza di questo mio punto di vista, è vivere spesso un disagio non tanto nella relazione con i giovani quanto con gli adulti che mi sono più vicini per età se non per modalità, o almeno con quegli adulti che restano ancorati a posizioni di non-comunicazione senza rendersi conto che è proprio questa chiusura a generare distanze che con il tempo diventano insormontabili fino a diventare indifferenza. L’indifferenza è pericolosa. Non credo ci sia male peggiore dell’indifferenza.